Quaresima 2016 - LUNED̀ 15 FEBBRAIO 2016

QUAR16  RICERCA DELL’UOMO, RICERCA DI DIO

XII EDIZIONE

LUNEDÌ 15 FEBBRAIO 2016

 

LA GIUSTIFICAZIONE METAFISICA DELLE SCELTE UMANE

 

«In questo momento della mia vita, il Signore mi chiama a salire sul monte, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione». Così dichiarava Papa Benedetto XVI nel suo ultimo Angelus, rivolto alla folla che riempiva piazza San Pietro. Parole pie e di vero credente alle orecchie delle maggior parte dei fedeli. Ma non a quanti cercano di coniugare la fede con il  linguaggio adulto della laicità e della responsabilità in prima persona.

Perché il Papa ora Emerito non ha detto: «Dopo lunga e meditata riflessione ho deciso di dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione»? Evitando di scaricare su Dio il peso della scelta e facendone un salvacondotto a qualcosa che potrebbe sembrare uno scarico di responsabilità?

È che da tempo immemore siamo abituati a questo linguaggio divinizzato e declinato in terza persona. Dimentico del suo stesso forte richiamo a non utilizzare troppo facilmente il nome di Dio a copertura delle proprie scelte, il Papa teologo è sembrato incappare in quella che potremmo chiamare la giustificazione metafisica delle scelte umane. Un peccato molto ricorrente nei credenti e spesso scambiato per autentica devozione. Sarebbe un aiuto alla crescita di una fede adulta rinunciare a sostituirsi a Dio, ad attribuirgli scelte e decisioni personali.

Ci sono espressioni ricorrenti, in uso normale da parte di molti credenti, quali La volontà di Dio o la Provvidenza (non me ne voglia il Manzoni) che finiscono senza volerlo per essere fuorvianti, perché identificano le cose che avvengono nel quotidiano con la volontà di Dio, le legittimano e le liberano da ogni umana responsabilità. Per di più, se sono interpretate come volute da Dio, le impongono come giuste, necessarie e inamovibili. Ne consegue che ogni tentativo di cambiamento diventa peccato contro Dio e la sua volontà. Forse noi cristiani dovremmo riscoprire la gioia di pensare e soprattutto di parlare di Dio in maniera sommessa, discreta, sottovoce. Come scrive Angelo Casati: "Parlare sottovoce di Dio non significa rimpicciolire Dio, ma se mai, farlo più grande. Sottovoce, perché del mistero di Dio possiamo solo balbettare qualche cosa. Con pudore. Il mistero è al di là, molto al di là della povertà delle nostre parole. Al di là della soglia. Sottovoce, ancora, perché dell’amore sbandierato ai quattro venti è giusto, legittimo, dubitare, sospettare. Il 'sottovoce' ha invece il passo silenzioso dei racconti che nascono dal cuore".

Aldo Antonelli