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Quaresima 2014 - MERCOLEDI' 9 APRILE 2014 PDF Print E-mail

QUAR14 RICERCA DELL’UOMO RICERCA DI DIO

 MERCOLEDÌ 9 APRILE 2014

 CHI NON HA FEDE DUBITA DI DIO, CHI CREDE DUBITA DI SE STESSO

 

I Valdesi, in fuga dalla Francia, giunsero nella Val Pellice intorno al 1200. E lì — grosso modo tra Cuneo e Torino — per secoli vissero rinchiusi come in un ghetto. Perseguitati e oppressi. Il teologo Paolo Ricca abita nel rione Prati di Roma, a poche decine di metri dalla Chiesa valdese, di cui è stato un importante ministro. Da poco ho finito di leggere il suo libro più recente dedicato all’Ultima Cena, quella che Gesù tenne con gli Apostoli.

Mi colpisce la dedica: «Ai medici che mi hanno curato in questi ultimi anni». Anni non facili per Ricca: «La malattia è un vortice che ti risucchia. Tende ad annullarti. Credevo di non farcela e di non essere all’altezza di quella serenità che una professione di fede ti trasmette. Ricordo di aver pensato: è tutto molto grave. Come andrà a finire? Non riuscivo a capirlo. Poi il lento riemergere e il tornare alla vita normale».

Anche Gesù, in quell’Ultima Cena, penso, torna alla vita e mai come in quell’evento il corpo e lo spirito si sono intimamente mescolati. Ma al tempo stesso divisi nelle interpretazioni che il cristianesimo darà di quell’episodio.

 

Professore chi ha “pagato” il conto di quella Cena?

«Non è stata una cena al ristorante. Però il conto lo abbiamo pagato un po’ tutti. Nel senso che quell’evento ha diviso i cristiani. Mentre il pane e il vino di Gesù avrebbero dovuto unire».

Cosa vuol dire essere un pastore?

«Aiutare con rettitudine a vivere le vite degli altri. Affrontarne, con la stessa coerenza, le gioie e i terrori, i conflitti e le speranze. Vittorio Subilia, grande teologo e mio professore, provava una certa allergia sentendo pronunciare la parola ”pastore”. La considerava eccessiva. Carica di un compito sovrumano».

Da dove nasce la fede?

«Non nasce dalla paura della morte né dall’incertezza del futuro. La fede è un viaggio che non si conclude nell’arco di una vita. Quando inizia la fede comincia anche l’inquietudine. La fede rende inquieti ma non dubbiosi». Il dubbio è un interrogativo rivolto a Dio. L’inquietudine è dubitare di se stessi, di ciò che si sta facendo, di quale società si intenda costruire, quale eredità lasciare ai propri figli. Da questo punto di vista, Dio diventa certezza. E non si sa perché».

La non evidenza di Dio cosa comporta?

«Che la fede è un salto. Ma non nel buio. Bensì nella parola che vince perché convince».

Può la fede essere inutile?

«Non è detto che se non ci fosse la fede il mondo sarebbe peggiore. Ma neanche migliore. Gesù ha invitato i suoi discepoli a essere servitori inutili. Quindi anche la fede può essere inutile. Ma Dio non è inutile, la fede in lui, sì, può esserla».

Ci fu una compromissione dei protestanti con il regime nazista?

«La Chiesa evangelica, in buona parte, si nazificò. E fu contro l’obbedienza alle direttive del regime

che, nel 1934 durante il sinodo di Barmen, nacque una Chiesa confessante che in larga parte si oppose prima ai cristiani tedeschi e successivamente alla Germania hitleriana. Fu Karl Barth a prendere posizione contro il nazismo, e questo provocò il suo allontanamento dall’università di Gottinga e il rientro in Svizzera».

E Bonhoeffer?

«Cospirò contro il regime partecipando all’attentato del 20 luglio del 1944. La bomba scoppiò ma Hitler ne uscì quasi incolume. Bonhoeffer fu arrestato e impiccato l’anno dopo».

Era giusto che un teologo, un pastore, condividesse un gesto di così estrema violenza? «Bonhoeffer non ha mai rivendicato un modello di comportamento. Ha solo applicato il detto luterano: pecca fortemente ma ancora più fortemente gioisci in Cristo. Fu un grande profeta del cristianesimo di domani che interpretò come un impegno per gli altri. Il suo insegnamento fu per me

di grande aiuto. Ho compreso cosa significhi la pienezza della fede in un mondo secolarizzato».

Dov’era Dio quando Auschwitz esplose in tutta la sua efferata tragedia?

«Dio non è responsabile dell’accaduto e nessuno può impedirgli di essere libero».

È vero. Ma se Dio c’è e tace, è il suo silenzio che interroghiamo e che ci opprime.

«Quel silenzio a volte l’ho subito e ripenso all’esperienza di Giobbe, segnata prima dal silenzio di Dio, e dagli amici di Giobbe che, insopportabilmente, lo giustificano. Poi, quando Dio parla, non risponde alla domanda di Giobbe: perché colpisci un innocente e ti comporti come un Dio ingiusto? È la fede che viene scossa. E non c’è una spiegazione esauriente dell’infinita sofferenza del mondo».

E nonostante ciò Giobbe continua a credere.

«La sua preghiera diventa protesta ma non negazione di Dio. Mi viene in mente il racconto di un ebreo che, dopo la distruzione del ghetto di Varsavia, rivolge a Dio un’ultima preghiera: “Dio, hai fatto tutto quello che potevi affinché non ti amassi più. Sono morti i miei cari, gli amici, la moglie e i figli. Tra poco morirò anch’io. Hai provato di tutto pur di farmi perdere la fede. Ma io ti amo lo stesso”».

Si può chiamare eroismo della fede?

«È il sovrumano nell’umano. La speranza che non muore. Davanti alla malattia mi chiedevo: come mi comporterò? Sono stato testimone di che cosa? Ho pensato agli ultimi giorni di Bonhoeffer. Prima di essere giustiziato tenne un culto con le poche persone con cui condivise la cella del carcere. Era solo un rito commiserevole? Non credo. Era il modo più profondo di ristabilire la pace tra gli uomini fin dentro il sacrificio estremo della morte».

 

Intervista a Paolo Ricca  di Antonio Gnoli - la Repubblica 30 marzo 2014 (excerpta)

 

 
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