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Quaresima 2014 - LUNEDI' 7 APRILE 2014 PDF Print E-mail

Un breve commento a QUAR14 di giovedì 3 Aprile:

In “la France contre les robots” Bernanos sosteneva che “un mondo vinto dalla tecnologia è un mondo perduto per la libertà”. Questa predizione sembra avverarsi adesso con la proposta di abolire l'insegnamento della filosofia alle superiori e in diversi corsi di laurea. La proposta deriva dalla paura della libertà umana da parte di persone che sono preda di un potere senza volto a cui desiderano assoggettare il resto dell'umanità. Stiamo vivendo un momento decisivo di una lotta epica, di una guerra apocalittica. La libertà umana non è mai stata messa seriamente a rischio da tirannie e oligarchie che potevano essere facilmente identificate come il nemico. Ma in una democrazia rappresentativa il nemico non è più identificabile se non in una cultura che previlegia la cosiddetta realtà obiettiva rispetto alla realtà personale.

Lodovico Balducci, University of Tampa, Florida, USA

 

 

QUAR14 RICERCA DELL’UOMO RICERCA DI DIO

 

LUNEDÌ 7 APRILE 2014

 

UNA DOMANDA A CIASCUNO DI NOI: E TU CHI DICI CHE IO SIA?

 

Marco 8, 27-30: Poi Gesù se ne andò, con i suoi discepoli, verso i villaggi di Cesarea di Filippo; cammin facendo, domandò ai suoi discepoli: «Chi dice la gente che io sia?» Essi risposero: «Alcuni, Giovanni il battista; altri, Elia, e altri, uno dei profeti. Egli domandò loro: «E voi, chi dite che io sia?» E Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». Ed egli ordinò loro di non parlare di lui a nessuno.

Gesù si trova nelle regioni a nord della Galilea, avendo ormai raggiunto l’apice del suo viaggio missionario. Lui e i discepoli attraversano villaggio dopo villaggio, portando l’annuncio del Regno di Dio, predicando la sua vicinanza con parole e con opere potenti. Finora l’attenzione è stata rivolta tutta all’esterno. Di paesi, ne hanno attraversati tanti e si fa impellente un bilancio: che cosa dice la gente di Gesù? Chi pensa che egli sia? Che significato danno non tanto alle sue parole o alle sue opere, ma alla sua persona? Perché poi, alla fine, il problema sta proprio lì: il modo in cui considero una persona determina come ad essa mi approccio. Se questo vale come esperienza comune per ogni essere umano, figuriamoci per qualcuno che si presenta con il messaggio di Gesù, che parla di Dio, del mondo, delle cose ultime…

I pareri riportati dai discepoli sono assai lusinghieri. Giovanni il battista aveva un riconoscimento pubblico davvero strepitoso e doveva essere una delle personalità religiose più importanti del giudaismo del primo secolo, se perfino Giuseppe Flavio, lo storico aristocratico, ne parla con rispetto. “Elia” ancora di più. È l’uomo di Dio per eccellenza, accolto in cielo prima della sua morte, tanto importante per il giudaismo che ancora oggi gli ebrei aspettano il suo ritorno, premessa necessaria dell’avvento del Regno. “Uno dei profeti” resta forse un po’ più nel vago, ma è un’identificazione non meno rispettosa delle altre: i profeti sono la voce di Dio, la sua presenza in mezzo al popolo, i portatori di quella Parola che fa tremare i potenti ed esultare gli umili.

A questo punto, però, Gesù si rivolge ai suoi. Un conto, infatti, è la folla che lo vede magari anche solo una volta… Un altro sono loro, che hanno un rapporto quotidiano con lui; loro che hanno lasciato tutto per seguirlo; loro, proprio loro, chi pensano che egli sia? Pietro risponde per tutti, senza esitazione alcuna: tu sei il Cristo. Tu sei quello che il popolo aspettava per la sua liberazione. “Cristo”, traduzione greca dell’ebraico “Mashiach”, l’Unto, il Consacrato da Dio per eccellenza. Colui, il cui avvento Elia avrebbe dovuto annunciare e che avrebbe dovuto portare il Regno. Il Messia, un titolo tanto impegnativo quanto pericoloso in qualsiasi epoca, figuriamoci in tempi di occupazione militare della Terra d’Israele.

Gesù, forse proprio per questo, ordina ai discepoli di tacere. Siamo arrivati alla svolta della missione: ora che la sua identità comincia ad essere manifesta, essa dev’essere rivelata pienamente, allo scopo di fugare ogni dubbio, ogni incomprensione che tutti quei titoli potevano portare con sé. Attraversata tutta la Galilea, viene il tempo di scendere in Giudea dove si dovrà compiere il destino di Gesù: la croce. Solo allora sarà finalmente chiaro a chi crede il senso della sua messianicità, un significato che va oltre quello attribuito dalla tradizione giudaica. Nel Nazareno è il Verbo stesso che si fa Messia, Liberatore, Salvatore. Nella croce la rivelazione diviene piena. Ora i giudizi su Gesù, per quanto rispettosi o onorevoli possano essere, si rivelano molto parziali se non fallaci, perché devono confrontarsi con la realtà della Resurrezione.

Le settimane che precedono la Pasqua sono, dunque, il tempo giusto per la meditazione sulla messianicità di Gesù. Il tempo in cui, come i discepoli a Cesarea di Filippo, riflettiamo su chi egli sia per noi. Questo è il tempo in cui dobbiamo rimuovere dalle parole di Gesù tutto quello che di abitudinario e scontato gli appiccichiamo addosso, forse proprio per paura degli spigoli della predicazione evangelica, allo scopo di riportare alla luce l’annuncio della resurrezione in tutta la sua forza, la sua durezza, il suo scandalo. Per quanto lusinghiero possa essere il nostro giudizio su di lui, infatti, la Pasqua ci pone davanti ad un’alternativa dura: o Gesù è il Risorto, rivelazione piena di Dio, Signore del mondo e delle nostre vite, oppure non è nulla. Non basta che lo consideriamo un grande profeta, un maestro ispirato. La resurrezione ci presenta il Gesù umiliato e crocifisso come il Glorificato, il Verbo incarnato. Questa è la pretesa della croce, questa la sola risposta valida alla domanda su chi egli sia e, quindi, la ragione per cui la sua Pasqua può diventare anche la nostra salvezza.

 

Eric Noffke, Pastore, Chiesa Metodista di Roma

 

 

 
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