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Quaresima 2011 - LUNEDI’ 18 APRILE 2011 PDF Print E-mail

QUAR11 – LUNEDI’ 18 APRILE 2011

Conversione E’APRIRSI ALL’AMORE AUTENTICO

Ancora una volta, i "quaresimali" quasi giornalieri inviati da Giovanni mi sono stati di guida - a volte condivisi e a volte “irritanti”, ma tant'è - in questo "itinerario quaresimale nel quale siamo invitati a contemplare il mistero della croce per farci conformi alla morte di Cristo, per attuare una conversione profonda della nostra vita" (Ben XVI, 4 novembre 2010 nel messaggio per la Quaresima 2011). Ancora Benedetto XVI aggiunge, nel Suo messaggio: "per attuare una profonda conversione della nostra vita: lasciarci trasformare dall'azione dello Spirito Santo ... liberarci dal nostro egoismo, superando l'istinto di dominio sugli altri e aprendoci alla carità di Cristo ...".

Dunque conversione ("convertiti e credi al Vangelo...") è aprirsi alla carità che Padre R. Cantalamessa (8 aprile 2011) afferma dover essere amore vero, autentico, non finto. In particolare: "Ciò che san Paolo dice lì, a osservare bene, si riferisce tutto a questa carità interiore, alle disposizioni e ai sentimenti di carità: la carità è paziente, è benigna, non è invidiosa, non si adira, tutto copre, tutto crede, tutto spera... Nulla che riguardi, per sé e direttamente, il fare del bene, o le opere di carità, ma tutto è ricondotto alla radice del volere bene. La benevolenza viene prima della beneficenza ... il distribuire ai poveri tutte le proprie sostanze - non gioverebbe a nulla, senza la carità interiore (cf. 1 Cor 13, 3). Sarebbe l’opposto della carità “sincera”. La carità ipocrita, infatti, è proprio quella che fa del bene, senza voler bene, che mostra all’esterno qualcosa che non ha un corrispettivo nel cuore. In questo caso, si ha una parvenza di carità, che può, al limite, nascondere egoismo, ricerca di sé, strumentalizzazione del fratello, o anche semplice rimorso di coscienza. Sarebbe un errore fatale contrapporre tra di loro carità del cuore e carità dei fatti, o rifugiarsi nella carità interiore, per trovare in essa una specie di alibi alla mancanza di carità fattiva. Del resto, dire che, senza la carità, “a niente mi giova” anche il dare tutto ai poveri, non significa dire che ciò non serve a nessuno e che è inutile; significa piuttosto dire che non giova “a me”, mentre può giovare al povero che la riceve. Non si tratta, dunque, di attenuare l’importanza delle opere di carità".

La Chiesa ha urgente bisogno di una vampata di carità che risani le sue fratture. In un suo discorso Paolo VI diceva: “La Chiesa ha bisogno di sentire rifluire per tutte le sue umane facoltà l’onda dell’amore, di quell’amore che si chiama carità, e che appunto è diffusa nei nostri cuori proprio dallo Spirito Santo che a noi è stato dato”.

Un ambito importante su cui lavorare è quello dei giudizi reciproci. Paolo scriveva ai Romani: “Perché giudichi il tuo fratello? Perché disprezzi il tuo fratello?... Cessiamo dunque dal giudicarci gli uni gli altri” (Rm 14, 10.13). Prima di lui Gesù aveva detto: “Non giudicate, per non essere giudicati. [...] Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?” (Mt 7, 1-3).

Il discorso sui giudizi è certamente delicato e complesso e non si può lasciare a metà, senza che appaia subito poco realistico. Come si fa, infatti, a vivere del tutto senza giudicare? Il giudizio è implicito in noi perfino in uno sguardo. Non possiamo osservare, ascoltare, vivere, senza dare delle valutazioni, cioè senza giudicare. Un genitore, un superiore, un confessore, un giudice, chiunque ha una qualche responsabilità su altri, deve giudicare. Difatti, non è tanto il giudizio che si deve togliere dal nostro cuore, quanto il veleno dal nostro giudizio! Cioè l’astio, la condanna. Nella redazione di Luca, il comando di Gesù: “Non giudicate e non sarete giudicati” è seguito immediatamente, come per esplicitare il senso di queste parole, dal comando: “Non condannate e non sarete condannati” (Lc 6, 37). Per sé, il giudicare è un’azione neutrale, il giudizio può terminare sia in condanna che in assoluzione e in giustificazione. Sono i giudizi negativi che vengono ripresi e banditi dalla parola di Dio, quelli che insieme con il peccato condannano anche il peccatore, quelli che mirano più alla punizione che alla correzione del fratello.

San Giacomo ammonisce: “Non sparlate gli uni degli altri” (Gc 4,11). Il pettegolezzo ha cambiato nome, si chiama gossip e sembra diventato una cosa innocente, invece è una delle cose che più inquinano il vivere insieme. Non basta non sparlare degli altri; bisogna anche impedire che altri lo facciano in nostra presenza, far loro capire, magari silenziosamente, che non si è d’accordo. Che aria diversa si respira in un ambiente di lavoro e in una comunità quando si prende sul serio l’ammonizione di san Giacomo!

Quante occasioni di esercizio della vera carità!

Ma l'itinerario quaresimale - fatto di digiuno, elemosina, preghiera - dovrebbe sfociare, come dice sempre Benedetto XVI, "in una sincera revisione di vita con la grazia rinnovatrice del sacramento della Penitenza" in analogia al viaggio di ritorno del figliol prodigo (don Enrico Finotti, 2000):

- esame di coscienza: “Allora rientrò in se stesso...”

- contrizione: “Mi leverò e andrò da mio padre...”

- penitenza: “Partì e si incamminò verso suo padre...”

- confessione: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te...”

- assoluzione: “Presto portate qui il vestito più bello...”

E' qui che Gesù ci attende ... per ricominciare la perenne ... conversione!

Giuseppe Bertoni, Istituto di Zootecnica, Facoltà di Agraria,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza
 

 
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