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Quaresima 2010 - MERCOLEDI’ 3 MARZO 2010 PDF Print E-mail
QUAR10 MERCOLEDI’ 3 MARZO 2010
 UN FILM PER LA QUARESIMA: LE ONDE DEL DESTINO 

   Un prologo, otto capitoli e un epilogo per un film alto, misterioso, iperrealistico.

Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 1996; miglior film, miglior attrice all’ “European Film Awards 1996; miglior film straniero ai Premi Cesar 1997.

   I capitoli sono spezzati da immagini fermo camera di paesaggi rurali che fanno da sfondo a musiche rock degli anni 70 con interpreti del calibro di Leonard Cohen, Deep Purple e Procol Harum, tra gli altri. Una gioia per i rockettari nati negli Anni 50 ma, probabilmente, non pertinenti con la vicende rappresentate.

   Il film si affaccia su un piccolo paese della Scozia, abitato da una comunità teocratica dalla cupa fede calvinista, contraddistinta da un bigottismo dalle tinte fosche e formali. Tra questi cupi individui si aggira Bess (prima e splendida interpretazione di Emily Watson, che ricorda la Renée Falconetti de “La passione di Giovanna d’Arco” di Dreyer, film al quale il regista le aveva consigliato di ispirarsi), donna semplice ed ingenua che, di fronte al dogmatismo religioso dei compaesani, ricerca Dio, e lo trova inventandosi un dialogo diretto con lui, alternando una vocetta infantile alla voce profonda del Signore (il regista afferma di aver avuto l’ispirazione ricordando i dialoghi di Don Camillo).

   L’affettuoso e protettivo rapporto tra i paesani e Bess inizia ad incrinarsi quando quest’ultima si innamora e sposa Jan, un operaio che lavora su una piattaforma petrolifera. Jan è uomo di altre terre, quindi “estraneo”, lontano dal sentimento religioso che contraddistingue gli abitanti del paese.

Il rapporto fisico e mentale travolge Bess e Jan: esplode l’eros, la scoperta dei corpi, l’insaziabilità del desiderio, la felicità. E la ferita della separazione, quando Jan è costretto ad assentarsi per lunghi periodi sulla piattaforma petrolifera.

   E’ una ferita che Bess non sopporta e che le fa chiedere, supplicare, persino pretendere dal suo Dio in modo assoluto e perentorio il ritorno dell’uomo che ama. Provocandone la collera.

Sia Dio o sia il caso, viene accontentata: Jan torna, ma costretto in un letto, paralizzato e a rischio di morte a causa di un grave incidente. Un castigo per le pretese di Bess? Una prova che la costringa a capire quale sia la differenza tra l’amore e l’egoismo?

   Ma le prove per Bess sono solo all’inizio: Jan le chiede di andare con altri uomini, di trovare partners sessuali e di raccontargli poi i suoi incontri amorosi per rivivere sensazioni che lui non potrà più provare, “per mantenermi in vita”. E Bess accetta, convinta che il suo egoismo sia la causa della condizione di Jan e che solo il suo amore possa avere il potere di tenerlo in vita. Inizia così  una via crucis blasfema, volgare, di Bess, che si degrada concedendosi a turbe di sconosciuti,  suscitando le ire della chiesa, del paese. Viene lapidata, irrisa, processata (al difensore: “non è immatura e isterica, ma buona”, risponde ironicamente il magistrato: “Dobbiamo mettere agli atti che soffriva di bontà?”) e scomunicata. Bess capisce che l’efficacia del suo sacrificio dipenderà dall’entità del suo dolore ed affronta il martirio finale facendosi uccidere su una nave al largo dove neppure le prostitute osano avvicinarsi.

   Come ormai ci si può aspettare, a questo punto Jan guarisce, torna a camminare. E se di via crucis abbiamo accennato, non si può non accostare la figura di Bess a quella di Cristo che si sacrifica per la redenzione dei peccati, per la salvezza dell’umanità.

   Miracolo? Ma questo non è nulla al confronto dell’epilogo, inaspettato, che vede Jan sul ponte della piattaforma richiamato dal suono di una campana, o forse due, che appaiono festanti in cielo, segno di resurrezione mandato dall’alto per manifestare la forza dell’amore assoluto. Epilogo forse rubato a quello di “Ordet” (ancora di Dreyer), Leone d’Oro a Venezia 1954, in cui la protagonista risorge dopo la propria morte (Dreyer afferma che la fede dei semplici resuscita i morti perché è fede nella vita e nell’amore).

   Lars von Trier, il regista, poco prima di iniziare il film si era convertito al cattolicesimo. Questo ci porta a pensare ad un atteggiamento di sfida verso una religione oppressiva, contrapposto al potere del cuore, alla bontà, all’amore. Messaggio che resta il medesimo anche se visto sotto un punto di vista laico: omnia vincit amor.

   Non è altro che la medesima risposta alla domanda finale: Per chi suona la campana?

 Roberto Lorenzet ©
 
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