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Quaresima 2011 - MERCOLEDI’ 30 MARZO 2011 PDF Print E-mail

QUAR11- MERCOLEDI’ 30 MARZO 2011

YEABSERA DONO DI DIO

…In quelle ore un elicottero stava portando in salvo un neonato e sua madre. Un bambino nato su un barcone di disperati partiti dalla Libia. Lo hanno chiamato Yeabsera, che nella sua lingua vuol dire “Dono di Dio”. Il suo volto è in prima pagina, per una volta abbiamo creduto che non fosse importante tutelare la sua “privacy”... Pensiamo anzi che il volto di questo bambino di poche ore, un essere umano minuscolo, un uccellino caduto dal nido, possa diventare il simbolo di qualcosa di molto difficile da dire…e di molto facile da sentire…Vorremmo che questo bambino fosse italiano. Vorremmo che un “uomo che verrà” arrivato dal niente in mezzo al mare, fuggito da una guerra, approdato in elicottero su un’isola, vestito dalle donne di quest’isola che gli portano abiti e coperte – un essere umano che non ha niente altro al mondo che sua madre accanto e una terra sotto i piedi – vorremmo che fosse cittadino di questa terra. Certo, ci sarà da stabilire una modalità equa e una ripartizione ponderata fra i popoli, nell’Europa intera, per stabilire chi debba accogliere i profughi e i fuggiaschi in arrivo seminudi dall’altra sponda del mare. Prima però, ci sono centinaia di bambini soli, fra quella gente, bimbi i cui genitori sono morti nel tragitto o non sono mai partiti, hanno caricato sulle zattere i loro figli sperando di salvarli. I bambini ci guardano, dicevamo. Non hanno forse il diritto di essere vestiti curati assistiti istruiti, il diritto di crescere? … E poi adesso: Yeabsera. I bambini che nascono qui. In mare, in un raggio d’acqua vicino alle nostre coste, sulle nostre isole. Per la legge, ammesso che “Dono di Dio” e sua madre possano restare nel nostro Paese, questo bambino dovrebbe aspettare il compimento del suo diciottesimo anno per diventare cittadino italiano. Ci vorrebbe una legge ad personam… Ci vorrebbe un gesto esemplare, simbolico: un gesto per dire agli italiani …che no, dei neonati almeno non abbiamo paura, le donne di Lampedusa del resto non ne hanno…Una legge ad personam per Yeabsera. E poi subito prendere in esame quelle proposte di legge… che chiedono di introdurre per il diritto di cittadinanza lo ‘ius soli’. Che sia cittadino italiano non solo chi nasce da genitori italiani, ma chi nasce sulla nostra terra. Abbiamo una legge…che tutela gli italiani emigranti, rende italiani i figli di chi espatria, ma che non prevede di fare italiani i figli di chi arriva. Oggi, ci dicono le Acli, vivono in Italia 520mila minorenni nati qui da genitori stranieri. Sono i nativi italiani, il 7 per cento della popolazione scolastica…Proviamo a fare delle leggi che non siano dettate solo dalla paura. Proviamo a guardare in faccia Yeabsera, figlio del mare di Lampedusa e a dirgli benvenuto al mondo, Dono di Dio.

Concita De Gregorio dall’Unità - 28 marzo 2011

 

I bambini nascono quando vogliono loro, non quando decidiamo noi. E sanno il perché, anche se non ce lo dicono. Yeabsera, ad esempio, ha deciso di fare capolino al mondo non in quel tragico luogo di transito che è la Libia in questi giorni. Non in un punto imprecisato di quelle migliaia di chilometri…che suo padre e sua madre hanno percorso in una fuga inimmaginabile, eppure vera… Yeabsera ha deciso di nascere sul barcone che trasportava quei due giovani profughi verso una specie di salvezza, una chimera lontana eppure, forse, vera quanto il loro quasi impensabile cammino. E così, il primo pezzo di terra che Yeabsera ha incontrato nella vita è stata l’isola di Lampedusa: un congestionato puntino nel mare. Eppure, in quel caos che è l’isola di questi giorni, in quell’emergenza cronica di barche, stranieri e ordinanze, malgrado i lampedusiani non si sentano comprensibilmente in vena di accogliere gli immigrati con danze e cocktail di benvenuto (smarriti gli uni, smarriti gli altri), malgrado il crescente sovraffollamento, ad accogliere Yeabsera sul molo c’erano le donne del paese con vestitini, panni e biberon. E così, anche se Lampedusa in questi giorni assomiglia più a un campo profughi che a una chimera come quella che papà e mamma inseguivano sin dal Corno d’Africa, per Yeabsera l’isola dev’essere sembrata una specie di paradiso terrestre, pieno di regali e sguardi per lui. A ben pensarci, lui ha fatto quello che tutti i bambini sanno fare, ciascuno a suo modo: ha deciso di nascere al momento giusto, anche se a noi adulti non sembra tale e crediamo che un moderno ospedale sia meglio di un barcone. Ma aveva ragione lui, perché contava su qualcosa che noi adulti ci siamo un pò dimenticati. E cioè che ogni nascita è qualcosa di grande e meravigliosamente incomprensibile. Perché al di là della solidarietà e di un salutare appello al bene di cui (talvolta) l’uomo (soprattutto nel senso di donna) è capace, un bambino che nasce muove dentro di noi (uomini e donne) qualcosa che non sappiamo bene dove stia, a mezza strada fra il cuore e le viscere. E questa cosa che si muove lì dentro, risvegliando meccanismi magari arrugginiti, mettendo da parte per un attimo tutti gli altri sentimenti – e risentimenti - ci spinge a fare cose. Come aprire un armadio e tirare fuori un bavaglino, magari ingiallito dal tempo e da vecchie macchie di latte. E correre a portarlo a una giovane donna che chissà come ha vissuto sino a ieri quando ha partorito in mezzo al Canale di Sicilia, a bordo di un barcone pieno di gente. Buona vita a te, Yeabsera, e a chi te l’ha data, questa vita strana e bella cui le donne di Lampedusa hanno dato il benvenuto.

Elena Loewenthal dalla Stampa - 28 marzo 2011

 

Articoli segnalati da Cristina Buschi, Roma

 
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